Campanile di Santa Sofia - L'Incidente

Indice articoli

11 APRILE 1977, UN GIORNO INDIMENTICABILE

Nell’estate del 1973, precisamente nella notte tra il 24 e 25 luglio, un furioso temporale si abbatté su Lendinara ed un fulmine si scaricò sull’angelo posto in cima del maestoso campanile, emblema della città, facendolo ardere tutta la notte.

La potente scarica elettrica colpì a morte quell’angelo dorato che da altre un secolo proteggeva tutta la città annunciando, con le sue diverse posizioni, la direzione del vento e il conseguente arrivo del bel tempo o della tempesta. Un utile e amabile punto di riferimento cittadino.

Già nelle prime ore del giorno dopo ero salito, con Stefano sagrestano, in cima al campanile per un primo contatto con i pochi resti ancora caldi e affumicati dell’angelo. Una tristezza infinita.

Costruito nel 1857 con legno di cirmolo da Silvio Soà e rivestito di rame dorato, era ammirato da tutti e quando precipitò completamente incendiato, tutta la città si adoperò per ricostruirlo. E così avvenne e il nuovo angelo, fuso in bronzo sul modello del precedente, fu ultimato nel 1974.

Si trattava allora di collocarlo sulla cima del campanile. Dopo vari ma infruttuosi tentativi effettuati con un grande elicottero americano (un birotore CH-47), fu deciso di realizzare la posa utilizzando una altissima gru innalzata a fianco del campanile.

Il giorno fissato per l’operazione era il lunedì di Pasqua dell’11 aprile 1977, giornata per me indimenticabile.

Al sagrestano Stefano Mirandola e a me, che da anni avevamo dimestichezza con la struttura del campanile per le varie e frequenti manutenzioni, Mons. Giusberti aveva chiesto di occuparci personalmente della posa finale dell’Angelo. La richiesta fu accolta con gioia e con quel tanto di orgoglio che nasce dal sentirsi protagonisti di un evento straordinario.

Così in quel pomeriggio pieno di sole dell’11 aprile 1977, ci avviammo verso la cima del campanile mentre l’angelo lentamente saliva appeso al robusto gancio della gru.

A noi due il compito finale di guidare il perno, che sottostava all’angelo in bronzo, dentro la grossa trave incastrata sotto la parte più alta delle cupola del campanile e di sganciare poi la statua definitivamente dalla gru.

Forse per il peso della “bronzina” che dovevo portare lassù per inserirla nella trave a sostegno dell’angelo, forse per la tensione di arrivare senza imprevisti all’appuntamento all’interno della cupola, mi sembrò una scalata più faticosa del solito. Non feci alcuna sosta quel pomeriggio, com’era di solito mia abitudine, per ammirare il panorama o per individuare con gioia la mia abitazione o qualche altro particolare luogo di Lendinara. Il pensiero era fisso sull’impegno affidatomi.

Giunsi per tempo sotto la cupola in quella zona appena illuminata dai piccoli finestrini laterali. Riuscii con notevole sforzo ad inserirmi tra le travi passando attraverso uno strettissimo pertugio fino ad arrivare al punto in cui dovevo inserire quel pesante blocco di bronzo che avrebbe accolto la punta dell’asta dell’angelo per fare da perno girevole.

Me ne stavo rannicchiato ascoltando il crescente brusio che saliva dal piazzale gremito di tanta gente arrivata per assistere all’avvenimento. L’angelo era ormai giunto alla sommità del campanile ed il perno (lungo quasi sei metri), sapientemente guidato da Stefano, stava lentamente scendendo all’interno della grossa trave verso il punto in cui avevo infilato la “bronzina”.

Ricordo esattamente il timore che cresceva in me nell’attesa del momento in cui la punta avrebbe colpito, a pochi centimetri dalla mia mano, il bronzo che poi avrei dovuto opportunamente sistemare per far combaciare la punta del perno con la sede concava della “bronzina”.

Era un timore che nasceva dal fatto che nessuna prova preliminare si era potuta fare e che qualche dubbio sull’effetto dell’impatto si era insinuato nella mente di qualcuno di noi nella fase finale dell’operazione.

Passarono minuti interminabili … poi, quasi improvviso, un forte colpo mi fece tremare la mano. L’angelo, con tutto il suo peso (quasi sette quintali), si era appoggiato sulla “bronzina”. Rimasi davvero impaurito perché quel botto fece scricchiolare notevolmente la trave che mi sosteneva ed inoltre, rannicchiato in quella posizione in cui mi trovavo, mi fece sentire ancor più prigioniero, quasi schiacciato. Chiusi istintivamente gli occhi aspettando il peggio, ma per fortuna tutto andò secondo il programma.

Riuscii ben presto a completare quanto dovevo fare e a sentirmi soddisfatto perché avevo ormai la certezza che il peso non aveva compromesso la stabilità della cupola e che l’Angelo era finalmente in grado di ruotare sul suo perno.

Non sentii più il disagio di trovarmi imprigionato e ricordo che in pochi istanti riuscii a togliermi di lì, aprire la botola della cupola e salire finalmente all’esterno, sulla cima del campanile, ai piedi dell’Angelo.

Stefano aveva intanto agganciato alla schiena della statua la scaletta, già collaudata a terra, che doveva servire per arrivare in alto, vicino alla testa dell’angelo per togliere il gancio che lo teneva ancora legato alla gru e per installare successivamente il parafulmine.

Iniziai la salita tenendomi stretto, con determinata e ragionata energia, a quell’esile scala. Arrivato all’ultimo gradino, all’altezza dell’attacco delle ali, non mi rimaneva che arrampicarmi sul dorso dell’Angelo poggiando i piedi sulle sue grandi ali (oltre cinque metri di apertura) fino ad arrivare sul capo.

Ero consapevole di trovarmi sul punto più alto di Lendinara e di non avere alcuna cintura di protezione, ma non avevo eccessiva paura perché avevo già provato l’arrampicata qualche giorno prima quando l’Angelo si trovava in mostra all’interno del Duomo.

Allungai lentamente la mano verso il gancio della gru, lo liberai e sentii subito l’applauso salire verso il cielo. Il lungo braccio della gru si era così staccato dall’Angelo ed aveva subito iniziato un festoso girotondo aereo.

A cavalcioni sulle spalle dell’Angelo avvitai sul suo capo, al di sopra dell’aureola, l’asta del parafulmine e poi, davvero felice, scesi ai suoi piedi.

Un abbraccio con Stefano; un festoso saluto agitando al cielo le braccia; un ultimo sguardo verso l’alto e poi, quasi saltellando, giù a terra.

Ricordo le strette di mano, il compiacimento di tanta gente, il sereno sorriso di mons. Ennio Giusberti che ci attendeva davanti alla chiesa.

Aveva scelto lui il Lunedì di Pasqua, pieno di significato, per far ritornare sul campanile il nuovo Angelo, una scelta davvero indovinata che ridava a Lendinara il suo simbolo più amato.

Se le moltissime persone presenti saranno state prese sicuramente dalla festa di quel pomeriggio, con la benedizione all’Angelo prima dell’ascesa con la gru, la solenne Messa sul sagrato del Duomo di S. Sofia, i canti delle Corali cittadine, la Banda di Lendinara e l’imponente servizio d’ordine per la sicurezza di tutti, il mio cuore per sempre conserverà gelosamente un motivo in più, quello di aver rappresentato, quale Sindaco in carica in quel periodo, tutta la cittadinanza lendinarese orgogliosa dell’angelo e del suo campanile.

(Lendinara, Gennaio 2014, Ramis Tenan)


grucampanile