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Il duomo di Santa Sofia, che oggi ci appare in tutta la sua maestosità, con l'ampia navata centrale e le due navate laterali, ricca di opere d'arte, pitture e sculture, un meraviglioso e altissimo (92.5m) campanile svettante sul panorama lendinarese, ha preso forma tra la seconda metà del '700 e la prima metà dell' '800, con una appendice nel '900 per il completamento della facciata.
La sua storia è iniziata molti secoli fa, poi nel corso del tempo ha conosciuto momenti belli e momenti bui, secondo un'altalena comune anche alle altre chiese lendinaresi. È nata nel lontano 1070 circa, come oratorio della famiglia Cattaneo, costruito da Alberico, pronipote di Uberto. Nei due secoli successivi l'oratorio fu ampliato e trasformato in chiesa dedicata a Santa Sofia, forse in onore di Sofia Lendinara, prestigioso membro di casa Cattaneo. La chiesa divenne ben presto il più importante centro religioso del territorio: da essa dipendevano le chiese di San Biagio, Villanova del Ghebbo, Costiola, Villa Longale (Bornio) e Ramodipalo.
Fu eretta in parrocchia nel
1288, con Adelardino come primo arciprete; in quell'anno risulta sede di un capitolo di Canonici che rimarrà fino a metà del 1400. Agli inizi del 1300 Santa Sofia fu anche temporaneamente sede vescovile per decisione del vescovo Bonazonta (o Bonagiunta), che comprò terreni e casa a sud della chiesa.
Nel 1529 si trova l'ultimo riferimento al giuspatronato dei Cattaneo. Qualche anno dopo la chiesa risultava in uno stato di notevole degrado, per cui nel 1556 il legato apostolico cardinale Carlo Carafa concesse il giuspatronato perpetuo ai Molin, nobile famiglia veneziana, a patto che si impegnassero a restaurare la chiesa. Dieci anni dopo, nel 1566, la chiesa era ricostruita e venne consacrata dal vescovo Canani. Nella sua visita pastorale del 1604 il monsignor Claudio Peroto rileva che la chiesa era ad unica navata, aveva otto cappelle e nove altari, il coro, e l'altare maggiore che era rivolto a est. Il Campanile era a nord e il cimitero a nordest.
A metà settecento la situazione torna a presentarsi molto precaria. In una propria relazione del 1730 il perito pubblico Bartolo Albori dichiara che Santa Sofia è decadente, rovinosa e piena di crepe. I giuspatroni Molin prima, e Minio successivamente, dimostrano di non interessarsene, e allora comincia un periodo in cui dapprima si tenta di provvedere con interventi tampone. Successivamente, durante lungo canonicato dell'arciprete Martinelli, che va dal 1739 al 1768, i lavori continuarono: fu rifatta la copertura della chiesa, fu costruito l'altare maggiore del Santissimo Sacramento, fu acquistato un nuovo organo. Da parte sua il Conte Emilio Gherardini fornì la capella di san Pietro Martire di un nuovo altare ligneo con la statua di San Vincenzo Ferreri lavorati ed intagliati da Bortolo Ponzilacqua.
Ma il passo, che alla fine darà alla chiesa la struttura che noi oggi conosciamo, è del 1760 con la decisione della fabbriceria di ricostruire di sana pianta la chiesa. Fu incaricato di redigere il progetto l'architetto Angelo Santini. e un po' alla volta, disponibilità finanziarie permettendo, i lavori furono eseguiti. Nel 1777 l'arciprete Brusantin benedisse la prima pietra della facciata, e successivamente, nel 1778, con il nuovo arciprete, l'attivissimo e dinamicissimo don Domenico Scipioni, i lavori ebbero una decisiva accelerazione: fu costruita una nuova canonica, furono realizzate le tre navate e la copertura della nuova chiesa. Per la nuova facciata si affidò il progetto all'architetto Don Antonio Francesco Baccari. Nel 1779 la struttura architettonica della chiesa era finita; la consacrò il vescovo Arnaldo Speroni il 30 settembre 1792, ma si continuò con le decorazioni. Del 1793 è la grande pala del pittore veneziano Carlo Alvise Fabris, rappresentante il Martirio delle figlie di santa Sofia, posta a ornamento dell'altare maggiore. Tutti, o quasi, gli altari vennero abbelliti con i preziosi marmi provenienti dal convento di San Francesco, che era stato soppresso e che l'acquirente, il nobile veneziano Polo Minio aveva prontamente demolito nel 1785. Da San Francesco arrivarono anche altre opere, tra cui la pala del Mancini Madonna in trono con Bambino e angelo che suona il liuto.
Nel 1794 Don Scipioni incaricò il pittore Tommaso Sciacca, che già aveva operato a Lendinara e in provincia di Rovigo, di ornare con pitture a fresco la chiesa. Si cominciò con la cupola; lo Sciacca aveva già predisposto bozzetto, ma morì poco prima di iniziare il lavoro; e allora Don Scipioni incaricò Giorgio Anselmi, a quei tempi famoso pittore veronese. Anselmi partì presumibilmente dal bozzetto che lo Sciacca aveva già predisposto di comune accordo con Don Scipioni, e dipinse la cupola con il Trionfo della religione secondo l'Apocalisse di San Giovanni Battista. A completamento della cupola dipinse anche i quattro Dottori della Chiesa: Sant'Agostino, Sant'Ambrogio, San Gregorio Magno e San Girolamo in ciascuno dei quattro pennacchi e, nel catino dell'abside dipinse la Trasfigurazione di Cristo. La morte dell'Anselmi per la caduta dall'impalcatura interruppe temporaneamente l'attività di decorazione della chiesa di Santa Sofia.
L'interno della chiesa è a tre navate, delimitate da doppie colonne striate, con capitello corinzio, ed è dotato di nove altari.
Il primo altare a sinistra è dedicato a Sant'Antonio; qui è conservata la pala San Francesco tra due angeli, di Achille Casanova; nel secondo altare a sinistra, dedicato alla Beata Vergine del Rosario, si trova la tela con la Vergine del Rosario con il Bambino in gloria e i Santi Domenico e Caterina da Siena, contornata dai Quindici misteri del Rosario, opera del pittore lendinarese Giovanbattista Albrizzi;
il terzo altare a sinistra è dedicato a Santa Rita da Cascia; il ritratto della santa è opera di Antonio Maria Nardi realizzato nel 1938;
nel quarto altare a sinistra, dedicato al Santissimo Sacramento, è conservata la pala con il Sacro Cuore di Gesù, dipinta da Biagio Biagetti nel 1929;
L'altare Maggiore, come già detto, è dedicato a Santa Sofia ed è ornato con il Martirio delle figlie di Santa Sofia di Carlo Alvise Fabris.
Nel primo altare a destra, dedicato alla Beata Vergine della Salute è conservata la pala centinata Madonna con il Bambino, gli angeli con gli strumenti della Passione e le anime del Purgatorio, opera di Antonio Zanchi;
il secondo altare a destra è dedicato allo Spirito Santo; su questo altare è posta la tela con la Discesa dello Spirito Santo, opera di Domenico Maggiotto, un altro dei beni provenienti dalla chiesa di san Francesco, così come l'altare in marmo di Carrara;
nel terzo altare a destra, dedicato a San Pietro Apostolo, viene conservata la pala con i Santi apostoli Pietro e Giacomo o allegoria del Papato, anche questa opera di Antonio Zanchi;
il quarto altare a destra è dedicato alla Madonna.
Oltre alle pale che ornano gli altari, il duomo di Santa Sofia è ricco di pitture e affreschi, tra le quali eccellono quelle conservate in una piccola stanza tra il terzo e il quarto altare a sinistra, dove si possono vedere tre opere preziose e due lapidi funerarie. Qui è conservata la tavola Madonna con il Bambino e angelo che suona il liuto, firmata da Domenico Mancini, proveniente dal convento di san Francesco. Di Francesco Bissolo, pittore di scuola belliniana, è invece la tela "Madonna con il Bambino in trono tra San Lorenzo Martire e Sant'Antonio da Padova", conservata nello stesso ambiente. La terza tela conservata in quella stanza è "Eccehomo", tela in stile caravaggesco, copia di un dipinto di Domenico Fetti.
Stupendi sono anche gli affreschi del catino della crociera e dell'abside dipinti dall'Anselmi, restaurati nel 2005; dopo il restauro è stato deciso di rimuovere il baldacchino per consentire al pubblico di meglio ammirare le opere.
In sacrestia si trova la lunetta con il Padre Eterno, anche questa opera proveniente da San Francesco, così come le due tele raffiguranti San Lazzaro e San Francesco in meditazione, entrambi dipinti da Piero Muttoni detto Pietro della Vecchia. Del suo seguace Bartolomeo Litterini è la pala con Scene della vita di San Costanzo. Nel 1875 l'arciprete Fernando Cappellini incaricò il pittore Carlo Matscheg di completare le decorazioni della chiesa, che vennero poi sostituite nel 1938 da Tito Poloni su disegni di Achille Casanova, rappresentanti Le vicende terrene del Verbo incarnato, le Gesta di Maria, dei Santi, e I Fasti della chiesa. Polloni provvide anche al primo restauro della cupola dell'Anselmi.
Molte sono anche le sculture presenti nel duomo lendinarese. Appena entrati ci accoglie il San Giovanni Battista dell'acquasantiera, opera decisamente di pregio, anche questa proveniente dal convento di san Francesco. E subito sulla destra sta una statua lignea di Padre Pio, di recente acquisizione (2000), dono di un fedele, opera di uno scultore gardenese.
Le venti statue in pietra di Custoza che stanno nelle navate laterali sono opera di Jacopo Pietro Muttoni, altre due in terracotta non sono attribuibili. Raffigurano partendo da sinistra: San Paolo Apostolo, San Pacifico, l'Angelo Custode, San Gaetano da Thiene, San Lorenzo, Aronne, Elia, San Giovanni Evangelista, San Giuseppe, San Giovanni Battista, Santo Stefano; a destra si trovano: l'Addolorata, San Carlo, Sant'Emilio, San Domenico, Mosè, Davide, San Giovanni Nepomuceno, Santa Maria Maddalena, San Filippo Neri, San Francesco d'Assisi, San Pietro Apostolo.
In sacrestia si trova una statua lignea raffigurante San Vincenzo Ferreri, opera di Angeli, discepolo del Piazzetta. Di particolare valore sono i due splendidi crocifissi lignei opera del lendinarese Giovanni Ponzilacqua. Dello stesso autore è il baldacchino volante e i grandi angeli che si trovano nelle nicchie dell'abside.
La facciata completata nel 1910 su progetto dell'architetto Domenico Ruopolo sostituice il precedente progetto di Don Francesco Antonio Baccari che prevedeva due campanili. E' così descritta da Paola Pizzamano: "L'attuale facciata risulta dunque costruita plasticamente, con sporgenze e rientranze dei due ordini: ionico l'inferiore e corinzio quello superiore, su cornicione mistilineo. Entrambi sono articolati nel gioco di semicolonne aggettanti e sovrapposte e lesene nella sezione centrale, che nell'ordine inferiore accoglie il portale con frontone e in quello superiore un finestrone rettangolare con timpano archivoltato. Nelle due ali laterali, delimitate da lesene sovrapposte, si inquadrano le porte con timpano archivoltato. La parte terminale della facciata, già ad attico, presenta ora un cornicione mistilineo, sormotato al centro dal frontone a dentelli con apertura circolare. La bella facciata è il risultato di varianti dell'originario progetto di derivazione barocca di Francesco Antonio Baccari".
Al vertice del frontone della facciata sta la statua in marmo del Redentore, benedicente con la sinistra agli angoli le statue di San Giuseppe e San Bellino, e sul cornicione quelle di San Pietro e San Paolo.
L'opera più antica presente nella chiesa di Santa Sofia, nonchè quella cui è attribuito maggior valore artistico, è la Madonna in trono con Bambino e angelo che suona il liuto (o angelo musicante), di Domenico Mancini. Sul primo gradino, a destra, compare la firma: Ops.dominici.mancinj.venetjs.p./1511 Quest'opera costituiva la parte centrale di un trittico che si trovava nel soppresso convento di san Francesco, e fu trasferita in Santa Sofia nel 1795 ad opera della Confraternita della Santissina Concezione. Ora si trova in un piccolo ambiente tra il terzo e quarto altare di sinistra del duomo. Nel 2016 la pala è stata esposta a Londra per la mostra "L'età di Giorgione", allestita dalla Royal Academy of Arts di Londra.
È l'unica opera firmata di Domenico Mancini, un artista non molto conosciuto, (Pizzamano) "forse di origine trevigiana, attivo a Venezia nella prima metà del cinquecento. Certa è la sua formazione in ambito lagunare, a diretto contatto con Giovanni Bellini e Palma il Vecchio. Tuttavia è da rilevare che non ci troviamo di fronte a un modesto pittore, che replica senza fantasia i moduli dei maestri, ma a un artista che si esprime attraverso una pittura palpitante in cui il mirabile impasto cromatico trova riscontro solo nella pittura tonale del Giorgione. A tal proposito Roberto Longhi lo definì felicemente 'un giorgionesco di buona razza', anche se ancora legato a moduli compositivi di matrice quattrocentesca".
Mancando riferimenti certi ad altre opere del Mancini, si è arrivati ad ipotizzare che l'opera sia stata rielaborata da Giovanni Luteri, detto Dosso Dossi, nel periodo in cui il pittore ferrarese operava in san Biagio. Resta comunque una pala di grande rilievo, con riferimenti coloristici alla scuola lagunare e del Giorgione.
Gli affreschi del catino dell'abside rappresentano La Trasfigurazione di Cristo, opera anche questa di Giorgio Anselmi. La scena vede al centro Cristo che ascende al cielo; a sinistra stanno Mosè con le tavole della legge ed Elia vestito con pelli di animali; a destra gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni contornati da angeli. Restaurata assieme alla cupola nel 2005, l'opera venne più apprezzata e, per consentire al pubblico dei fedeli di poterla meglio ammirare, fu deciso di levare il baldacchino, che ne impediva una buona visione di insieme.
Terminata la struttura architettonica interna della nuova chiesa di Santa Sofia, e dopo la consacrazione da parte del vescovo di Adria Arnaldo Speroni avvenuta nel 1792, restava da abbellire la chiesa con affreschi. Nel 1794 Don Scipioni chiamò Tommaso Sciacca, noto pittore già attivo a Lendinara preso il Santuario del Pilastrello e in Polesine. Su probabile input dello Scipioni, Sciacca si mise subito all'opera e preparò il bozzetto per dipingere Il Trionfo della Religione nella cupola della crociera. Ma proprio al momento di iniziare l'impresa, Sciacca venne a mancare. Don Scipioni allora chiamò Giorgio Anselmi, famoso pittore veronese di quel tempo, che partendo molto probabilmente dai disegni dello Sciacca, dipinse e completò, nel 1795, Il Trionfo della Religione, ispirata all'Apocalisse di San Giovanni Evangelista. L'opera è stata oggetto di restauro un paio di volte, l'ultima nel 2005, e in questa occasione la bellezza del risultato ha consigliato di togliere il baldacchino che limitava la visione degli affreschi ai fedeli.
Lo stesso Don Domenico Scipioni, così descrisse il soggetto scelto per l'affresco:
“La grandiosa figura protagonista riguardante l'ingresso della chiesa dalla porta maggiore, è l'Eterno Padre che in faccia al tempio della città di Dio (la Gerusalemme Celeste) è in atto di accogliere colla destra l'Agnello divino, a cui presenta il libro chiuso coi sette misteriosi suggelli della redenzione fatta dall'umanato figliuolo. Il tempio è sostenuto da gruppo di sette angeli, ed una corona di sette puttini, che con variati scorci si tengono l'un l'altro per mano, formano la gloria fino a mezzo del convesso, ed altri a tinte basse e a chiaroscuro danno risalto alle principali figure. Dall'arcata, a sinistra di chi guarda, un angelo precede foriero la religione, grave e decorosa matrona, che ritta sul carro tirato dai simboli degli Evangelisti, tenendo nelle mani il calice e la croce, dirige il suo viaggio al tempio eterno. Un altro angelo la segue portando il triregno, insegna del suo gerarca in terra. Alla parte opposta cominciano i contrapposti, e dopo un altro grand'angelo che verso il tempio compie il semicerchio della visione, seguono i simboli dell'eresia, della dissolutezza e del tirannico impero delle nazioni: l'Idra colle sette teste coronate, sul capo delle quali scorre un puttino, con una fiaccola accesa, mentre un altro vi sta sotto da una parte, ridendo di quello, come scherzo e trastullo, significando il divino potere a distruggere coi più deboli mezzi le forze più grandi ed altere. Viene appresso il dragone colla testa in forma di uomo orrendo e traendo colla coda avviluppate le stelle del firmamento, intese per gli angeli prevaricatori, ferito dall'alto con un'asta da un celeste campione, atteggiato con tutta la forza del disegno; la meretrice, intesa per la empietà ed irreligione; indi segue un altro grande angelo che, con ambe le mani tese addietro, tenendo come per nausea all'opposto la faccia, versa un'urna di zolforoso vapore sulle cime della città di Babilonia. Finalmente nell'ultima arcata sta l'evangelista, e a' suoi piè è l'aquila, in atto di scrivere l'Apocalisse sul libro aperto, sorrettogli da un angioletto, mentre un altro di grandiosa figura lo sormonta, dettandogli la visione e tenendo in mano un'aurea canna da misurare santa città di Dio. Due angeli laterali e molti puttini, parte coloriti e parte indietro a chiaroscuro, formano una seconda divergente Corona”.
La pala "Vergine del Rosario con il Bambino e i Santi Domenico e Caterina da Siena" (1633), si trova nel secondo altare a sinistra del Duomo. È attribuita a Giovanbattista Albrizzi e raffigura l'apparizione di Maria Vergine con il Rosario a San Domenico prima della crociata contro gli Albigesi nel 1200. Interessanti anche gli episodi de I quindici misteri del rosario che contornano l'opera. Il Rosario era il simbolo della lotta contro le eresie, e la pala è stata realizzata nel 1633, periodo in cui le eresie erano diffuse. L'opera è stata commissionata all'Albrizzi dalla Confraternita dei Battuti che avevano sede presso la chiesa di Maria Vergine del Rosario (oggi chiesetta di san Giuseppe), e donata al Duomo di Santa Sofia da don Giacomo Baccari nel 1816, quando la famiglia Baccari divenne proprietaria della chiesa, sconsacrata durante il periodo napoleonico.
Giovambattista Albrizzi, nato il 2 settembre 1582, fu un uomo di cultura, pittore e poeta abbastanza noto ai suoi tempi, probabilmente formatosi presso la scuola di Guido Reni a Bologna. È stato a capo della fraglia dei pittori lendinaresi, e protagonista dell'Accademia degli Aggirati di cui fece cambiare il nome in Accademia degli Incomposti. Suo è anche il Ritratto di Francesco Saraceni conservato presso l'Università di Ferrara.
Il primo altare a destra è dedicato alla Beata Vergine del Carmine, e su di esso si trova la tela Madonna con Bambino e le anime del purgatorio, opera attribuita in un primo momento a Matteo dei Pitocchi, e ad Antonio Zanchi dal Brandolese in poi. Fu commissionata ad Antonio Zanchi dalla Confraternita della Morte, proprietaria della cappella, sul cui altare si possono vedere i relativi simboli: croce, lance, dadi, tenaglie, martello.
Sempre di Antonio Zanchi è la pala con i Santi Apostoli Pietro e Giacomo o Allegoria del papato, che si può vedere sul terzo altare a destra. Un'opera dello Zanchi si trova anche nella chiesa di San Biagio, nel quarto altare a destra.
Antonio Zanchi nacque ad Este nel 1631 e morì a Venezia nel 1722. Fu allievo di Matteo Ponzoni e successivamente si indirizzò verso il filone dei "tenebrosi", di cui divenne uno dei principali esponenti, sulla scia di Luca Giordano e Giovan Battista Langetti. Col tempo attenuerà la sua attività come "tenebroso", attingendo a tonalità coloristiche più morbide, per cui la produzione lendinarese è databile attorno al 1690.
Il primo altare a destra è interessante anche per la bellezza dei vari marmi con cui è lavorato. In particolare risaltano gli intarsi marmorei sul prospetto della mensa, tre ovali collocati a metà altezza dell'altare. Nell'ovale a destra è rappresentata Santa Lucia, in quello centrale alcuni religiosi in preghiera, in quello a sinistra Santa Apollonia.
(Testi curati da Ennio Bellucco)